Salire sull’Empire State Building
Quando, nel febbraio del 2016, partii in solitaria per New York, già prefiguravo di vivere tutti quei momenti iconici che questa città ha da offrire: camminare per Central Park, le mille luci di Times Square, la movimentata Quinta Avenue e, ovviamente, la salita e la vista dall’Empire State Building, l’edificio simbolo della metropoli americana.
In questo breve estratto, estrapolato da un capitolo del mio libro-racconto di viaggio newyorkese, vi narro proprio di questo: cosa significa osservare, vivere e assorbire l’energia newyorkese dal tetto di uno dei suoi più iconici grattacieli. Buona lettura.
“Una delle esperienze più iconiche che si possano fare in città è salire sull’Empire State Building. Così una sera, all’incirca a metà del mio viaggio, mi incamminai da Midtown direzione Herald Square. Portai con me anche un bandiera americana che misi in valigia prima di partire. L’intenzione era di scattare una fotografia assieme ad essa in cima all’osservatorio, con il meraviglioso sfondo della città illuminata di notte.
Arrivai nella famosa hall del palazzo, attraversai il corridoio, che in realtà è molto più corto e stretto di quanto appaia in molte fotografie, “pagai” attraverso il City Pass, che mi dava accesso a una serie di attrazioni in città, ed era finalmente arrivato il momento di salire.
Vedete, salire sull’Empire State Building è emozionante quasi quanto esserci. Certo, nulla può eguagliare la grande bellezza che vi si staglierà davanti una volta che sarete in cima, sulla sua terrazza panoramica, ma anche il semplice gesto di salire verso quel luogo — e il modo in cui avviene — permette di creare tensione e adrenalina, una meravigliosa e scoppiettante forma di attesa.
Quando salii non c’era nessuno, se non un paio di turisti di origine asiatica. Arrivai all’area controlli dove un signore mi controllò lo zaino che avevo con me, prima di passare sotto il metal detector. Nello zaino avevo solamente la macchina fotografica, batterie di scorta, la bandiera americana e altri piccoli accessori.
«Questa non la puoi portare» mi disse, indicando la bandiera.
«Perché no?» gli chiesi di tutto punto.
«Non si può» rispose lui impassibile, e leggermente più stizzito.
Decisi di non insistere oltre, perché sembrava sul punto di darmi uno schiaffo se avessi controbattuto di nuovo.
«La puoi venire a ritirare quando scendi» disse ancora, dopo una mia moderata spiegazione sul perché l’avrei voluta portare.
Dunque mi arresi, gliela lasciai e iniziai la salita verso l’86° piano dell’edificio.
Come detto in precedenza, il ricordo della salita si equipara alle sensazioni provate una volta in cima; forse è per quello che provavo io in quel momento, l’emozione di salire su un osservatorio tanto famoso, ma di seguito cercherò di spiegarvi il perché delle mie emozioni.
Dapprima presi un ascensore assieme ad altre due o tre persone che ci portò in poco più di un minuto fino all’80° piano. Qui uscimmo, percorremmo un altro breve corridoio e prendemmo un altro ascensore che questa volta ci avrebbe portato all’85° piano — un piano sotto la terrazza panoramica. Una volta usciti dal secondo ascensore — non so se la cosa sia stata voluta durante il progetto di costruzione dell’edificio, ma certamente il risultato ottenuto è sorprendente — bisogna percorrere una grande e ampia scalinata che ti butta letteralmente in mezzo al panorama newyorkese dall’alto.
Percorrendo questa scalinata tu sai che ad ogni gradino che salirai avrai una maggiore visuale di quello che si staglierà davanti a te di lì a poco. All’inizio intravedi qualche vetrata, poi qualche luce e infine, una volta in cima, ti manca in respiro, ti cedono le gambe, la possibilità di dire qualunque cosa, e l’unica espressione che sentirai intorno a te sarà di meraviglia: «Ohh, wow!»
Tutta la città, in quella notte d’inverno, era accesa di luci gialle, bianche e aggrovigliate in una volta luminescente artificiale, ma comunque piena di significato, energia, potere, speranza. La città da quell’altezza mi apparve dannatamente attiva e attrattiva, pronta ad urlare allo spettatore di quell’opera d’arte da un momento all’altro: eccola, la New York che tanto bramavi. Ti senti vivo osservandola, come se potessi librarti in volo e percorrerla in aria da Midtown al Lower District. E’ il ritorno alla vita, l’espressione della speranza che si fa grande e ti parla dritto all’anima. Non ti sembra reale, né possibile, che in un mondo conosciuto possa esistere una tale energia. E’ la speciale caratteristica distintiva di New York: ti promette che qualunque sia la tua aspettativa, saprà comunque sorprenderti.”
Se ti è piaciuto questo estratto, e vuoi conoscerne di più, ti rimando al mio libro Tutta la potenza della vita, che non è una guida, bensì una collezione di aneddoti, incontri, vicissitudini, emozioni e pianti che provai durante il mio viaggio a New York.