Verona: una città a misura d’uomo

Le cose migliori, spesso, accadono in modo inaspettato.

Non avevo mai tenuto in considerazione Verona come città in cui passare una giornata o due, insomma, una mini vacanza italiana. Avevo pensato a Torino, Firenze, forse Venezia, ma Verona proprio no.

Poi, un paio di mesi fa, cercando informazioni in Internet sull’Africa – un continente che sta sempre di più entrando nel mio cuore – sono incappato nel Museo Africano, che si trova proprio a Verona. Un museo, nonché esperienza culturale dedicata ai popoli del Continente nero, creato e gestito tutt’ora dai Missionari Comboniani. E così, all’improvviso, quella è stata la “scusa”, nonché  successivamente una grandissima opportunità, di visitare la bellissima città veneta.

Decisi in ventiquattr’ore di prenotare e fermarmi a Verona per la notte, di modo da viverla più come un viaggio vero e proprio, e non solamente come una toccata e fuga in giornata da Bergamo, la mia città. E’ comunque stato, nonostante questo, un lungo ed estenuante tour-de-force, in cui ho visto e scoperto e vissuto tanto, e ho anche avuto l’opportunità di conoscere delle persone bellissime, che mi hanno permesso non solo di scoprire la città, la sua arte, la sua architettura e storia, ma soprattutto di amare la gente del posto, il loro calore e la loro gentilezza. Insomma, in trenta ore Verona mi ha fatto un regalo bellissimo: mi ha fatto sentire a casa, uno del posto, come se qui ci fossi nato e cresciuto.

Piazza Bra, Verona, sulla quale si affaccia la bellissima Arena.

Arrivato a Verona di buon mattino, mi sono immediatamente diretto al Museo Africano, nell’affascinante quartiere di Veronetta, proprio al di là dell’Adige.

Un quartiere che, ad esclusione dell’elegante centro storico e, per me, perfino un po’ simile a qualche “rue” parigina, ho trovato uno dei posti migliori in cui passeggiare. Stradine tranquille, poco traffico, decisamente meno turistico rispetto al centro vero e proprio, come nei vicoli attorno all’Arena, ma non per questo meno accogliente, meno elegante e meno interessante da scoprire.

Qualche centinaio di metri prima del museo, mi sono imbattuto nella statua in onore di Daniele Comboni, un vescovo missionario dell’800, orgoglio veronese, che portò il cuore e l’animo della città nel continente africano. Mi ha particolarmente colpito e affascinato la scritta in fondo alla statua, ripresa proprio da Comboni stesso: «O Nigrizia o Morte», quasi a voler lasciar intendere che la cultura africana è parte di noi più di quanto, forse, siamo oggi disposti ad ammettere.

Il museo contiene innumerevoli manufatti da altrettanti paesi africani, dalle tribù del Kenya a quelle del Congo, dal nord al sud dell’Africa, ed è un viaggio meraviglioso all’interno delle diverse culture africane. Si visita in circa un’ora di tempo, e per chi è appassionato di questo continente la ritengo una tappa irrinunciabile. E’ un racconto – un po’ fotografico, un po’ scritto, un po’ visivo attraverso, appunto, reperti e manufatti locali – che vi forniranno un’ampia e diversificata conoscenza e vi faranno innamorare delle popolazioni che abitano questo immenso luogo proprio ai piedi della “nostra” Europa. Lo staff inoltre è molto gentile e sempre disponibile a spiegare eventuali dubbi ai visitatori o, come nel mio caso, una volta conclusa la visita, parlando un po’ dell’Africa come si fosse fra amici.

Uscito dal museo ho deciso di camminare un po’ sul lungo Adige, prima di dirigermi nuovamente nel centro storico. Ovunque posavo i miei piedi e il mio sguardo mi sono sentito accolto, come se quello fosse per me un ritorno a una casa del cuore. Camminando per la città ho trovato la gente di Verona infinitamente gentile e disponibile a chiacchierare, nonché orgogliosa del luogo in cui vive – e lo posso ben comprendere.

Ho poi deciso di visitare la casa di Giulietta, e successivamente la tomba nella quale la leggenda vuole che sia sepolta. Due tappe che, se sono “irrinunciabili” per un turista che viene qui per la prima volta, d’altro canto mi sono apparse anche un po’ troppo “modellate” per, appunto, compiacere il turista di turno. Valgono comunque una visita, e ancor di più se siete fan dell’opera tragica di Shakespeare (che fra l’altro ho iniziato a leggere scendendo in treno da Bergamo!) Ma non aspettatevi niente di superlativo. Verona è molto più di questo.

Verona sono i suoi vicoli, l’architettura dei suoi palazzi, i vari monumenti in giro per la città (dedicati a Vittorio Emanuele II, a Garibaldi, sculture in memoria della Shoah e tanto altro, praticamente ad ogni angolo. Una statua che ho amato, magari di un personaggio meno famoso ma non per questo meno importante per il luogo, è stata quella di Berto Barbarani, poeta dialettale veronese, proprio all’ingresso di Piazza Erbe), i suoi piccoli e deliziosi parchi in cui sedersi e riposare, come detto il calore contagioso della sua gente, la sua estrema vivibilità, e poi ancora i luoghi un po’ magici e un po’ persi nel tempo, come quello che vi descriverò fra poco. Insomma, Verona è per chi ama l’arte, la Cultura, la Storia. Per coloro che amano tutto ciò che, in un modo o in un altro, compone la vita, ma in un ambiente che non è mai dispersivo, o troppo caotico o disorientante

Verona, in fondo, è questo: una città a misura d’uomo. Sentirsi a casa qui è quanto di più facile possa capitare. Tant’è che infatti, mentre ero in giro per la città, mi chiama mio padre e mi dice, dopo aver visto le foto che gli ho mandato: «Sapevo che era una bella città, ma non mi aspettavo così bella!» E lo è davvero. Anzi, molto di più, perché per rendersene autenticamente conto, bisogna vivere sulla propria pelle quelle «vibes» – così le ha definite – la cameriera di un locale in cui ho cenato, che mi ha invitato a tornare di nuovo, magari questa volta per starci più tempo, promettendomi di farmi da «guida» della città veneta quando sarò di ritorno.

Ma tra i posti che più mi sono rimasti nel cuore c’è una libreria. Quando visito una nuova città ho l’abitudine a cercare librerie locali che si stacchino il più possibile dai circuiti libreschi più commerciali. Insomma: librerie indipendenti, un po’ polverose e perse nel tempo, luoghi dove rifugiarsi nel confortevole calore dei libri. E Verona ha decisamente tanto da offrire il tal senso.

Oggi vi voglio raccontare della Libreria del Novecento. Situata nel pieno centro storico veronese, a due passi da Piazza dei Signori. Ci arrivai con il buio, camminando come un flaneur parigino attraverso stretti e caratteristici vicoli. Sbirciai un po’ timidamente all’interno, ed entrai. Questo è un luogo per chi ama i libri usati, vecchie edizioni fuori commercio, e per chi nei libri trova l’autentica poesia della letteratura, e non solo, della gente che vive di quella letteratura, come Cristiano, il co-proprietario della libreria, lì presente quella sera. Un uomo che sembra uscito da un romanzo degli anni ’20: capelli bianchi e ciuffo sulla fronte, occhiali, barba anch’essa bianca, una risata accogliente e vivace, e un pullover che gli saliva fino al collo.

Appena entrato lui era seduto all’angolo, lavorando al computer, e gli chiesi: «Posso dare un’occhiata in giro?»

Lui, con voce piena, baritonale e accogliente: «Certo che sì, se no che siamo qui a fare».

La libreria è fondamentalmente una stanza, ma sono questi il suo pregio e la sua bellezza. E’ stipata di volumi preziosi e nei quali è piacevolissimo spulciare, lasciandosi attirare dalle copertine tanto quanto dall’istinto. Mi avvicinai al banchetto dei libri a 5 euro, e nel giro di pochi minuti ne selezionai ben quattro.

Al momento di pagare, mi sono fermato un momento a parlare con Cristiano, al quale ho raccontato che quest’anno (2022) ho letto quasi 150 libri. Lui mi guarda, sgrana gli occhi, si complimenta con me, si alza dalla sedia, mi si avvicina e mi chiede: «Le posso stringere la mano?» e decide anche di farmi un piccolo sconto sui miei acquisti! Parliamo un po’ anche della bellezza di Verona, che mi ricorda un po’ Praga, un po’ Parigi, e un po’ un piccolo gioiello con un carattere tutto suo, dall’anima indipendente. Lui mi racconta di essere stato a Parigi anni addietro, e di aver visitato anche la famosissima libreria inglese “Shakespeare and Company”, che si affaccia sulla nobile cattedrale di Notre-Dame. Io gli racconto che in quella libreria ci si può anche fermare a dormire e lui mi chiede, ripetendomelo, quasi come se non riuscisse a credere a una cosa così meravigliosa: «Si può dormire alla Shakespeare and Company?!»

Parlandogli si capisce quanto ami i libri, e io mi sento a casa, nel luogo giusto per me. Quanto vorrei fermare il tempo, stare qui dimenticandomi del mondo esterno, perdermi in ogni singolo volume contenuto in questo prezioso scrigno veronese, che è molto, ma molto di più, di una semplice libreria.

La Libreria del Novecento è uno stato mentale. Un desiderio. Una realtà che sfuma nel sogno, e viceversa. Per ciò che contiene e per le persone che la gestiscono. In fondo, Verona è anche questo.

Per ultimo, ma non di certo per importanza, è giusto parlare dell’Arena: l’iconico simbolo della città veneta. Sicuramente vale la pena visitarla, ancor di più al calar del buio, come ho fatto io. L’interno è un anfiteatro dalle dimensioni nemmeno così eccessive come si potrebbe immaginare, ma la bellezza strutturale è evidente fin dal primo sguardo. Se entrate di sera, salite lungo le imponenti scalinate, arrivate in cima, e godetevi il meraviglioso saluto di Piazza Bra con le luci della notte. Sarà così che, nel silenzio dell’anfiteatro, vi sembrerà di essere gli spettatori privilegiati di un’opera teatrale, perché no, di stampo Shakesperiano.

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