Perché ho scelto di scrivere sulla gente d’Africa?

E’ stato un bisogno istintivo. Una necessità impellente a cui non ho saputo resistere. La voglia di raccontare ciò che, negli ultimi due anni, ha completamente plasmato e modificato (in meglio) il mio carattere.

Sono stati tre gli eventi che, in questi mesi, mi hanno spinto voracemente verso il Continente Africano: la massiccia dose di letture su questo argomento; l’aver adottato a distanza un bambino Maasai; e aver conosciuto quegli stessi Maasai durante un evento dedicato alle popolazioni aborigene del mondo, che ancora vivono a stretto contatto con la Natura, senza distruggerla come invece stiamo facendo noi in Occidente.

Tre eventi consequenziali che mi hanno permesso di capirmi meglio; amare gli altri meglio; nonché riconoscere quanto io — quanto tutti noi in Occidente — in fondo siamo nati fortunati.

E così arriviamo a Persone felici — un libro che ho scritto in pochissimi giorni e che in pochissimi giorni è stato pubblicato, perché così ho voluto che fosse fin dal suo concepimento. Desideravo che in questo breve testo prevalesse tutta l’emotività impetuosa che mi ha permesso di scriverlo in poche ore.

Perché questo titolo? Non ho avuto alcun dubbio. Appena ho pensato alla stesura di questo pamphlet, mi sono subito detto: deve intitolarsi così. Perché, parlando con Josephat — il bambino Maasai che sostengo — nonché dialogando per diverse ore con i Maasai conosciuti allo Spirito del Pianeta, ho capito quanto queste persone possiedano una sorta di conoscenza atavica della vita, che gli permette di sorridere, e di essere felici, anche nella più estrema povertà.

Noi ne saremmo capaci? Noi che viviamo per i soldi, per avere un cellulare nuovo o una vacanza in più all’anno? Ne dubito. Noi abbiamo perso la consapevolezza su ciò che sia realmente il concetto di felicitàI Maasai mi hanno insegnato che la felicità può iniziare, ma non deve mai concludersi, all’interno di una possessione economica.

Come io scrivo nel mio nuovo libro: «Non tutta l’Africa sorride, ma quando sorride, lo fa con una fulgida gioia negli occhi che l’Occidente non è più in grado di mostrare

In Persone felici parlo di me, raccontando dell’Africa. Io divento parte di lei, e lei penetra in me, avvolgendomi nel caldo abbraccio della gente di questo meraviglioso continente.

E’ un breve libro che parla dell’importanza di amare chi è diverso da noi, ricordandoci quella felicità che l’Africa riesce così tanto a mostrare, e che può essere anche nostra, ma solo se decideremo di seguire una strada diversa, fatta di maggior contatto umano, di maggior dialogo e confronto, di un abbraccio fraterno fra due persone con una pelle di colore diverso, lasciando andare l’odio e il bisogno di vivere solo ed esclusivamente per il benessere materiale, piuttosto che per quello affettivo.

E’ un libro autobiografico nel quale tento di raccontarvi come l’aver conosciuto (una piccolissima, minuscola parte) di Africa, ha arricchito la mia vita, l’ha migliorata e l’ha definita più di qualunque altra cosa nei miei trent’anni.

Come scrivo ancora nel libro: «Mi piace pensare che la saggezza abbia la pelle color dell’ebano», e lo credo fermamente. Dopo aver parlato con i Maasai ho capito quanto noi in Occidente viviamo seguendo rigidamente schemi predefiniti (dalla politica alla tv alla società stessa) ma, guardiamoci attorno e negli occhi: siamo veramente felici? Io no di certo. Guardando negli occhi loro (che poi, in fondo, sono noi — ossia una collettività di più nazioni e continenti che definisce l’essere umano) ho trovato una gioia di vivere e del saper apprezzare il singolo momento che noi europei abbiamo il dovere morale di provare a recuperare nelle nostre vite.

Persone Felici è innanzitutto una lettera d’amore: per l’Africa, per la sua gente, per ciò che hanno da insegnarci, per i loro valori morali. E in tutto ciò, una lettera d’amore anche verso me stesso.

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