Perché viaggiare (da solo/a) ti cambia la vita

Viaggiare insegna. E’ una scuola di vita. È formazione, accrescimento, esperienza. Ma è anche vivere la Storia in diretta, è Cultura, conoscenza e apprezzamento della diversità. Questo per introdurvi al concetto del viaggiare: se potete, non appena potete, prendete un aereo e uscite dall’Italia. Non solo sarà un investimento, ma sarà il miglior investimento che potrete fare su voi stessi.

Questo è ciò che ho fatto nell’attimo stesso in cui ne ho avuto la possibilità. Come? Sempre da solo, sempre all’arrembaggio e all’avventura. Ed è stato – e continuare ad essere – bellissimo così. Una cosa a cui, una volta preso lo slancio e l’abitudine – perché sicuramente non è facile – ormai non posso più rinunciare. E di seguito vi spiegherò i motivi.

La prima volta che viaggiai da solo (ma sarebbe meglio dire, la prima volta che viaggiai in assoluto) fu nel 2016, quando a 24 anni, presi valigia e passaporto, uscii dal mio paesino dell’alta bergamasca oltre il quale non mi ero mai approcciato e andai verso l’aeroporto di Milano Malpensa direzione New York City.

Arrivai in aeroporto già con la fotocamera al collo, tutto contento ed emozionato ma, soprattutto e stranamente, sereno, come se non avessi voluto farmi sfuggire nulla di quei momenti, anche se poi le prime foto con la reflex le scattai solo una volta arrivato in America. Questo per indicarvi come, in quelle prime ore di una nuovissima esperienza, era molto viva dentro di me la dolce innocenza del primo viaggiatore. E partii: welcome, United States of America!

Andai da solo perché, all’epoca, non avevo amici. Tanto meno avevo amici con i quali viaggiare. Ma io volevo vedere l’America, lo desideravo e lo attendevo come un bambino attende Babbo Natale la notte del 24 dicembre. Cosa dovevo fare, rinunciarci per situazioni fuori dal mio controllo? No. Assolutamente NO!

Un po’ di inglese dopotutto lo conoscevo, e come detto, ero perfino stranamente tranquillo all’idea di ritrovarmi dall’altra parte del mondo in totale solitudine. Credeteci o meno, io ero convinto – anzi consapevole – che non solo sarebbe andato tutto bene. No, ero consapevole che mi sarei perfino divertito come un pazzo, e sarei tornato, come avrei poi detto successivamente, da uomo, quando invece partii da ragazzino. E (almeno in parte) fu proprio così.

Parlai con un sacco di gente, venni trattato come uno “di casa” in un pub in cui cenai cinque sere su sette (Connolly’s, poco fuori Times Square. Se siete dalle parti di NY, fateci un salto!) forse proprio perché ero lì da solo e lo staff si prese un po’ più cura di me rispetto al normale. Non lo so ma mi piace pensarlo. Corsi in giro dalla mattina alla sera, andai di qua e di là, concessi a me stesso di perdermi per le strade di Midtown e di fermarmi per minuti interi sul marciapiede, con lo sguardo all’insù, a guardare le luci dei grattacieli che si accendevano in ogni nuova notte newyorkese.

Ero io a New York, e nulla, in quei momenti, esisteva all’infuori di me stesso nella giostra di New York. Questo non sarebbe mai successo se fossi andato in compagnia. Mi sarei divertito lo stesso? Probabile. Ma alcune volte, per rendersi conto di essere davvero coraggiosi e forti e capaci quali siamo, bisogna solo mandare tutto all’aria per qualche giorno e partire. Avevo le mie paure, ma erano molto inferiori in confronto a tutto il resto.

Io, davanti alla Statua della Libertà, a 24 anni, da solo, primo viaggio fatto nella mia vita.

Poi, in meno di un anno, andai due volte a Londra, sempre da solo. Una città in cui mi sentii subito a casa. Una città, almeno per me, di un romanticismo infinito.

Passarono poi più di cinque anni prima che facessi un nuovo viaggio, questa volta a Praga, ma sempre da solo. Dopo cinque anni senza aver più preso un aereo ero tornato ad essere un po’ timoroso. Sarò in imbarazzo a chiedere ad altri di scattarmi una foto? Mi sentirò solo al ristorante? Tante piccole “paranoie” che poi, una volta che sei là fuori nel mondo, ti rendi conto che non hanno davvero motivo di esistere.

Viaggiare da solo ti fa capire che la gente, in fondo, è buona e gentile. Che le opportunità vanno afferrate con le unghie. Che hai più talento e mezzi a tua disposizione di quanto, in questa disastrata Italia, ti vogliono far credere.

Arrivò il momento di tornare a “casa” anche da Praga. Ero in aeroporto, auricolari nelle orecchie, mi guardavo attorno incuriosito ma non ero geloso delle coppie di fidanzati o di amici che viaggiavano insieme. Ero fiero di me. Ero rilassato dal fatto che nessuno mi imponesse niente che io non avessi voglia di fare. Era un po’ come un dito medio alla conformità delle giornate tutte uguali della settimana quando si torna da una vacanza.

E poi, viaggiando all’estero da solo ti rendi conto che è una cosa molto più tipica di quanto si tenda a fare o pensare qui in Italia. Non sei uno sfigato come qui ti vogliono far credere. Sei solamente uno che ha preso una decisione e la porta avanti senza paura, fregandosene dei giudizi e dei pregiudizi.

Poi, negli ultimi mesi, ho affrontato altri due piccoli viaggi europei, sempre da solo: dapprima Cracovia, spinto anche dal desiderio, dopo aver studiato l’argomento, di visitare il campo di sterminio di Auschwitz. E, qualche mese dopo, un viaggetto decisamente più rilassante e sbarazzino, ossia Tolosa, la ville rose, nella regione dell’Occitania francese. Un viaggio, quest’ultimo, che potrei quasi definire come: un bacio sulla guancia di una donna adulta nei confronti di un uomo altrettanto adulto ma che si sente, e forse sempre si sentirà, adolescente dentro.

Tolosa: la grande beauté française.

Vedere il mondo è bellissimo. Vederlo con i propri tempi e mezzi lo è ancora di più. Dipendere da se stessi è difficile ma dipendere dagli altri può diventare soffocante.

Ecco cosa mi ha insegnato viaggiare da solo: urlare a gran voce VIVA LA LIBERTA’, qualunque cosa questo significhi per voi. La libertà di crescere, di scoprire, perfino di avere paura e di superare quelle paure, di divertirsi e di amarsi in totale autonomia.

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