Evviva lo Spirito del Pianeta!
Siamo tutti parte di questo pianeta, fratelli e sorelle di un qualcosa di più grande, qualcosa che ci unisce nel segno dell’Umanità. E’ questo l’insegnamento più importante che ci regala lo Spirito del Pianeta, un evento che, ogni giugno, riunisce numerose comunità indigene da tutto il mondo (monaci tibetani, Maya, Maasai o Pigmei africani, etc…) nella bellissima cornice di Clusone, fra il verde brillante delle montagne bergamasche.
Personalmente prima dell’anno scorso non ero a conoscenza di questo evento collettivo, ma nel momento in cui ho scoperto l’arricchente opportunità di conoscere e condividere del tempo con popolazioni così distanti da me, non ho rinunciato o dubitato un secondo: dovevo partecipare anch’io – il più possibile.
Nel 2023 ho avuto l’opportunità di conoscere i Maasai, una delle tribù più fiere, e anche più conosciute, dell’Africa subsahariana. Famosi per il loro fisico slanciato, per le loro danze e i loro riti, il tutto indossando sgargianti costumi tipici (spesso sulle tonalità del rosso) sono persone genuine, dal sorriso dolce e spontaneo. Per questo vi rimando al libretto che ho scritto l’anno scorso proprio a loro dedicato. Il titolo che ho scelto, Persone felici, rende facile intuire ciò che mi hanno trasmesso: gioia, felicità, contentezza, un enorme senso di purezza esistenziale ed emotiva. Uomini e donne con le quali non ho avuto timore né difficoltà nel cercare e trovare quell’empatia che, fin da subito, si è instaurata fra di noi, e per la quale mi sento infinitamente grato e fortunato.
Lo stesso, anche se in modo più circoscritto, è successo nell’edizione di quest’anno dello Spirito.
Anche questa volta ho avuto modo di fermarmi un po’ a parlare con Zakaria, un Tuareg del Niger, vestito nei tipici abiti blu cobalto, con il quale ho assaggiato un delizioso tè, filtrato tre volte, dall’aroma molto intensa, specie sul fondo. Gli racconto del mio desiderio di vedere sempre di più, sempre più a fondo, il continente africano, dopo essere stato recentemente in Marocco. Magari, chi lo sa, un bel giro nel Deserto del Sahara. Lui mi conferma che è possibile ma «le guerre che ci sono in quei posti ne hanno un po’ rovinato la bellezza». Mi spiega infatti che, la zona del Mali e del Burkina Faso non è molto sicura, ma certe zone interne del Niger sono ancora affrontabili dal turista curioso e in cerca di un’avventura esotica.
Zakaria è molto gentile, disponibile a raccontare di sé, delle sue tradizioni e a scattare volentieri qualche foto ricordo con i presenti. Non manca mai di un sorriso e tutto in lui, dal portamento regale, all’espressione del volto fino al tono di voce, denota una certa, antica e atavica dolcezza.
Dopo averlo salutato mi dirigo oltre, vicino a una cerimonia chiamata Temazcal, originaria per la precisione del Messico, dove ancora oggi vivono popolazioni indigene che la praticano (può durare anche più di due ore), la quale ha lo scopo di purificare il corpo dalle tossine nonché “elevare” lo spirito.
Con una piccola offerta ho deciso di provare anch’io. Mi sono dunque avvicinato alla donna che eseguiva una versione molto abbreviata del rito, vestita in abiti tradizionali con pelli e piume. Mi ha chiesto di alzare i palmi delle mani verso l’alto, come in una sorta di preghiera, mentre lei teneva in mano un calice con pietre vulcaniche fumanti, che sprigionavano fumo, calore e un odore molto penetrante.
Ho fin da subito potuto sentire chiaramente la forza spirituale di questo “incenso” vulcanico che saliva e penetrava in profondità nel mio naso, liberando le mie narici. Durante il rito, infatti, ho sentito tutto il mio corpo liberarsi dalle tossine, la tensione costante delle mie membra lasciarmi, anche solo per pochi attimi. Ho respirato in profondità con il desiderio di immettere nel mio corpo quel fumo che volevo credere (ma in fondo spiritualmente sapevo) essere purificante e non tossico.
La donna che celebrava muoveva il calice dietro, davanti e attorno a me, pronunciando parole in spagnolo che intuii essere in riferimento alla protezione e al benessere «del mio cuore… del mio ventre…» e finì la celebrazione pronunciando la frase: «al Grande Spirito» ossia colui che, nelle tradizioni indigene nord americane, tutto guida in questo mondo, dall’Uomo alla Natura. Colui al quale un giorno torneremo.
L’ho quindi ringraziata portandomi la mano sul cuore e chinando appena la testa in segno di profonda e sincera gratitudine. Lei mi ha sorriso con dolcezza e fraternità. Dopodiché mi sono allontanato per un ulteriore giro dell’evento.
Nella mezz’ora successiva ho sentito la mia anima sollevarsi e una pace pervadermi collettivamente. Non ho potuto fare a meno di pensare che tutto ciò fosse derivato da questo rito che, può avere origini tribali, ma di tribale ha molto poco. Ha invece lo scopo di riequilibrare il baricentro dell’essere umano con sé stesso e con il Tutto che lo circonda. Perché, non dimentichiamolo mai, quando noi moriremo torneremo a fare parte dell’Unità; alcuni la chiamano Dio, ma in fondo sono la stessa cosa, semplicemente sotto forma di tradizioni e culture diverse. Perché allora non dedicarsi, già direttamente in questa vita, a un graduale avvicinamento e ad una lenta comprensione di quel mondo, così lontano e per molti così spaventoso, solo perché rifiutano di comprenderlo? Ho dunque pensato che queste “tribù” – come noi arrogantemente in Occidente le chiamiamo, quando sarebbe più giusto definirle civiltà – posseggano una verità che noi abbiamo perduto, comandati invece soltanto dal denaro e dal possesso esclusivo della materia, dimenticandoci che Dio è l’esatta rappresentazione dell’antimateria.
Evviva lo Spirito del Pianeta, dunque! Per l’opportunità che ci dà di interagire con tradizioni e momenti di vita spirituali da tutto il mondo – dalle montagne Himalayane del Tibet alle foreste amazzoniche – che altrimenti molti di noi non avrebbero mai modo, se non di conoscere, quanto meno di toccare e sperimentare con mano.
Se c’è un insegnamento che lo Spirito del Pianeta ci tiene a donarci è proprio questo: conosciamoci senza timore, dialoghiamo, condividiamoci perché, come cantava Battiato, «tutto l’Universo obbedisce all’amore».
La copertina di Persone felici e il sottotitolo che ho scelto: Cosa può insegnarci, l’Africa, sul concetto di felicità?