Noi viaggiatori solitari: figli del mondo

Fin da quando ho iniziato a viaggiare, esattamente da febbraio 2016 quando partii per una settimana a New York City, ho saputo e sentito di appartenere più al mondo, al suo movimento, alle sue diversità e peculiarità, piuttosto che all’asfittico paese nel quale sono cresciuto. Forse è anche per questo motivo che, finora, ho sempre e soltanto visitato città, grandi o relativamente grandi, e non, ad esempio, spiagge o luoghi di villeggiatura. In questi posti ho potuto trovare ciò che dove abito non c’è: movimento, attività, librerie, posti da vedere, e volti e voci – tantissimi volti e tantissime voci.

Fin dalla mia settimana da ventiquattrenne a New York, ho saputo di essere cittadino del mondo, ed è ciò che per moltissimo tempo mi ha gratificato.

Avrei centinaia di aneddoti, più o meno curiosi, più o meno particolari, che coltivo nella mia memoria da queste esperienze, perché anche questa è un’opportunità che ti regala il viaggiare da solo: ti senti più in sintonia con le persone del posto piuttosto che con il tuo compagno di viaggio. Ed è proprio così che nascono esperienze curiose che ti rimarranno addosso per sempre. Ad oggi, non potrei più rinunciare all’essere, da solo, in giro per il mondo. E’ il mio momento. E’ il tempo che concedo a me stesso. E’ l’espressione più pura della mia essenza.

Poiché sono tornato da poco più di un mese da Tangeri, vi voglio raccontare di uno degli incontri casuali di questo viaggio a ridosso del continente africano, che ha arricchito di molto il mio tempo trascorso lì.

Durante il mio secondo giorno in città arrivò nello stesso riad nel quale alloggiavo io nella Medina un signore sulla sessantina, capelli brizzolati, volto simpatico e intelligente, sguardo vispo e attento. Lo conobbi la mattina durante la colazione sulla terrazza, sorseggiando del tè alla menta e osservando il sottostante panorama di Tangeri, che si estendeva fino alla lontana spiaggia, dalla quale saliva una gradevolissima brezza marina.

Quel primo incontro durò pochissimo. Giusto qualche saluto e convenevole e poco altro.

La mattina seguente, tuttavia, lui incominciò a parlarmi con più brio e io colsi quell’occasione per farmi un vero e proprio amico di viaggio.

Mi raccontò di essere del Belgio e dopo che gli dissi di essere italiano, ma senza aspettarmi minimamente che conoscesse la città da cui provengo, gli dissi comunque: «From Bergamo, in the north of Italy».

«Oh, Bergàmo (sì, lo disse con l’accento sulla a). I know the place. Very beautiful area. Near there is Lake Como».

Al che gli dissi che sono zone molto belle, dove la montagna si incontra con le colline e, appunto, ci sono meravigliose zone lagunari nel quale abbandonarsi al relax per qualche giorno.

Lui mi disse che tempo addietro viaggiò con amici in bicicletta in quelle zone, salendo poi fino a Nizza e Monaco, sempre in bicicletta. Non mi stupii di questa affermazione, ben conoscendo la cultura della bicicletta dalle sue parti.

«The people there (intendeva l’Italia) are very warm and welcoming».

E così iniziammo a parlare di viaggi: fatti e da dover, ma soprattutto voler fare. E mi stupii ancora una volta di come il destino ci metta di fronte a persone splendide, sorridenti, gentili e dal cuore buono. Dobbiamo soltanto essere aperti e disponibili all’ascolto. Dobbiamo solo umilmente considerarci un granellino di sabbia parte del grande deserto del Sahara che è questa frizzante umanità. Frizzante, sì, perché ho potuto constatare viaggiando che l’umanità di arido non ha davvero nulla, come invece tendevo, e ancora oggi tendo a credere rimanendo nel mio piccolo paesello di provincia.

In quei giorni di permanenza ebbi modo di sentire parlare il mio amico belga anche in francese, oltre alla sua lingua madre, qualcosina in spagnolo e perfino qualche accenno di lingua araba. Lo ammirai immensamente. Lo trovavo simpatico, colloquiale e una compagnia più che gradevole.

Continuando a conoscerlo mi resi conto che probabilmente era uno di quei pensionati che, vissuta una certa parte di vita, scelgono di dedicare l’altra al viaggiare in giro per il mondo, tant’è che mi disse che sarebbe tornato in Italia quest’estate, e aveva già un viaggio prenotato in autunno per Hong Kong. Ma prima avrebbe continuato il suo tour in giro per il Marocco. Da lì a qualche giorno sarebbe ripartito per Fez.

E ora un piccolo ma breve trattato emozionale. Quando mi capitano questi momenti mi sento pieno, colmo di gioia ma soprattutto di esistenza. Sento di amare il mondo, di comprendere e apprezzare il diverso, come può capitare che non sempre accada nel quotidiano. Mi sento una bella persona. Anzi: una persona sostanzialmente migliore. E sono loro a rendermi tale. Parlandosi e condividendosi con me, come poi faccio anch’io a mia volta. Sono momenti di arricchimento e di piacere sensoriale. Ti rendi conto che in fondo il mondo – nonostante i suoi crimini, i suoi delitti, i suoi drammi, le sue paure – è buono, è sano, è piacevole, ed è, tutto sommato, sicuro.

Quante esperienze di dialogo e di confronto mi sarei perso – quanto più povero sarei come persona – se avessi dato ascolto a tutte quelle persone che mi dicevano, e ancora oggi talvolta mi dicono con voce che accenna un senso di pena: ma perché da solo? Ma vai in compagnia, no?

E a queste persone che non riescono a comprendere la bellezza di trovarsi dall’altra parte del mondo in esclusiva compagnia di sé stessi, dico che io sono diventato una persona migliore e più sicura di sé, con un carattere più ricco e un bagaglio esistenziale infinitamente più colmo e variegato, proprio perché ho accettato, ricercato e infine voluto, essere in un altrove sempre più lontano, e solo una volta lì approcciarmi al mondo nel modo in cui il mondo sceglie eventualmente di avvicinarsi a me.

Viaggiare da soli significa amare farsi stupire. Significa essere un viaggiatore con l’animo del bambino. Non siamo tristi: siamo sognatori che non rinunciano a sognare.

Torniamo al mio amico belga. Lo incontrai nuovamente – come se il destino avesse in sé sorprese inaspettate – durante la mia escursione giornaliera a Cap Spartel, la zona dove Mar Mediterraneo e Oceano Atlantico si incontrano e si baciano, senza mai realmente fondersi l’un l’altro.

Cap Spartel, a pochi chilometri da Tangeri. Dove mare e oceano si incontrano. Luogo piacevole e rilassante, anche per dell’escursionismo in riva al mare.

Arrivato qui mi feci scattare la foto di rito, poi salii verso il faro e pranzai con vista mare. Quello stesso pomeriggio, nello stesso identico orario, io e il mio collega viaggiatore (guai ad usare per noi la parola turista!) ci ritrovammo sullo stesso identico pullman di ritorno in centro Tangeri.

E ora veniamo all’ultimo giorno, quando io sarei ripartito per l’Italia e lui per le città del Marocco.

Come sempre, facemmo colazione insieme, ci raccontammo gli ultimi aneddoti, confermammo la bellezza di mangiare e bere in abbondanza con cinque euro o poco più, e infine ci salutammo.

Anzi: prima di salutarci mi pose il suo telefono e mi disse con un sorriso tra il divertito e il sornione: «Look this guy» – guarda questo ragazzo. Ero io davanti al cartello che indicava la direzione dei due mari: da un lato l’Oceano Atlantico, dall’altro il Mediterraneo. Evidentemente, quando chiesi a una ragazza lì presente di immortalarmi con quel paesaggio di un blu intenso, il mio amico belga mi scattò a sua volta una foto da tenere sul suo telefono come ricordo. Io sorrisi divertito a mia volta e confermai: «Yeah! What a beautiful place!» E lui aggiunse: «You can say that».

Era ufficialmente tempo dei saluti.

Mi alzai per scendere in camera e gli strinsi la mano dicendogli che era stato un piacere conoscerlo. In realtà quello che volevo dirgli era che, pur non essendoci nemmeno detti i reciproci nomi, pur non avendo i reciproci contatti, pur sapendo che, una volta lasciato il riad, ci saremmo persi di vista per sempre, quel viaggio è stato bello anche per quest’incontro, per questo continuo scambio di emozioni e sensazioni. Perché in fondo è proprio l’idea di condividere del tempo insieme – senza obblighi né pretese – sapendosi destinati a non incontrarsi mai più di lì a qualche giorno, a rendere l’esperienza del viaggio in solitaria ancor più bella, peculiare, significativa.

Significa riconoscere di amare il mondo all’infuori di ogni legame che può incatenare.

Significa dimostrarsi bravi ad ascoltare tanto quanto a parlare.

Per qualcuno tutto ciò può essere sinonimo di tristezza. Per qualcun altro un dolce e sincero motivo di ricordo da portare con sé, come una cartolina nella pagina di un libro.

Ciao, amico mio. Buone avventure in giro per il mondo, e per avermi ricordato, ancora e con più forza, quanto la solitudine può essere un incentivo – se adeguatamente colto – a sperimentare, scoprire, divertirsi, condividersi, piacersi, parlarsi, ma soprattutto per rendere sé stessi una persona migliore nella meravigliosa, talvolta sì delirante, ma molto spesso emozionante, giostra del mondo.

Non ci rivedremo più, but that doesn’t matter at all.

Per chi fosse interessato, ecco di seguito il mio libro di viaggio, con numerosi aneddoti, tratto dalla mia esperienza newyorkese.

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