Africa,  Essay

«Tu sei figlio dell’Africa…»

«Il suo colore è una croce che dovrà portare per sempre» – così scrisse il premio Nobel per la Letteratura Toni Morrison in riferimento alla convivenza di un essere umano con la pelle nera.

Ho letto questo brano e ho subito pensato a Josephat, il bambino Maasai africano che, esattamente da due anni questo agosto, sostengo attraverso un’adozione a distanza.

Non è mio figlio, ha i suoi genitori e la sua famiglia, ma so di avere un’enorme responsabilità nei suoi confronti. Recentemente mi ha scritto che «farò sempre come mi dici», prendendo spunto dal mio stimolarlo continuamente a impegnarsi a scuola, ad ascoltare i suoi insegnanti, affinché possa avere un futuro più limpido e un po’ più facile. Leggendo le sue parole ho capito che Josephat, nonostante la distanza e la giovane età, mi ascolta e mi vuole bene. Ossia: vede in me una guida. Se vogliamo: un saggio fratello maggiore. Tutto ciò ha fatto sentire me, a mia volta, amato, ma soprattutto, come detto, responsabile di un altro essere umano che non sia la mia persona.

Tuttavia non posso nascondere che, per quanto io possa volergli bene, per quanto possa consigliarlo, per quanto lo stimoli e lo sostenga nel suo percorso di crescita, lui rimane un bambino africano nero. Tenderà sempre a partire, in ogni circostanza della sua vita nel mondo, da una posizione svantaggiata rispetto a quella, ad esempio, da cui sono dovuto partire io.

Quante volte giudichiamo una persona soltanto per il colore della sua pelle?

O per la sua religione che non rispecchia quella nella quale siamo cresciuti?

O per un innocente difetto fisico, per non dire psicologico?

Questa società in cui viviamo, a discapito dell’infinità di buone parole che tutti noi a vuoto diciamo, giudica (e quindi dà o toglie) molto di più in base all’apparenza che alla sostanza.

E allora ho scritto l’aforisma di seguito pensando a Josephat, ma più in generale pensando all’immagine di me stesso come genitore di un bambino africano realmente adottato, a cui toccherebbe scontrarsi – e continuamente confrontarsi – con la società italiana che ancora oggi rimane molto chiusa al diverso. Diverso per noi, sia chiaro, e non in quanto essere umano con eguali diritti e opportunità di crescita e scoperta.

Ecco il brano che ho scritto, dal quale poi è nato questo articolo:

«Tu sei figlio dell’Africa. Ricorda: studiare è il modo migliore per legittimarti di fronte alla brutalità del mondo. Io ti proteggerò se bisogno di protezione tu avrai. Io ti ammirerò ogni volta che il fiore del sapere cogliere tu saprai. Tu sei figlio dell’Africa: dovrai correre più di altri, ma imparerai anche a portare alto il capo, e ad allungare la mano che altri ritrarranno».

Il significato di queste parole è evidente, ma un po’ mi rattrista sapere che ci sono bambini – poi uomini e donne – di questo mondo, la cui esistenza sarà sempre legata a un tentativo di legittimazione altrui. Qualcosa che noi come italiani, bianchi e mediamente borghesi non possiamo affatto comprendere, quanto piuttosto, forse, soltanto intuire.

Ma in Josephat e nel suo impegno scolastico io vedo intelligenza, tanta volontà di farcela, desiderio e amore nei confronti della scoperta. È un bambino di una dolcezza commovente e che, avendo potuto iniziare a studiare soltanto attorno al compimento del suo decimo anno di età, non ha poi rinunciato un giorno nel provare a dimostrarmi (anche se non ce ne sarebbe bisogno) che lui ha perfettamente colto questa opportunità, che ne è grato e se ne sento arricchito.

Nel brano precedentemente citato ho scritto che tu, «figlio dell’Africa», puoi essere nero di pelle, potrai combattere estenuanti battaglie per questo, ma non rinunciare mai a essere, e provare a diventare, una bella persona, quale tu già oggi sei. Perché è questo che, in conclusione, definirà la tua esistenza, molto più del colore della tua pelle.

Io credo in te, Josephat. Molto spesso più di quanto io sappia credere in me stesso.

Ho anche scritto un piccolo libro, Persone felici, nel quale racconto la mia esperienza con l’adozione a distanza e di cosa mi ha insegnato conoscere, e conseguentemente amare, l’Africa. Lo puoi trovare su Amazon.

Puoi anche leggere un’introduzione al testo in questo articolo intitolato: Perché ho scelto di scrivere sulla gente d’Africa?

Foto di Alex Radelich su Unsplash

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