
Come ho scoperto l’Islam: religione di pace
In principio mi affacciai all’Islam politico, e nulla più di questo. E, proprio per la tipologia dell’argomento, l’impressione che ne ricavai non fu del tutto positiva. Non leggi Oriana Fallaci e pensi: oh che simpatici questi musulmani. Ma è anche vero che, se vuoi capire a fondo l’Islam, devi dedicarti a una lettura costante del Corano, e ridurre le letture belle, ma pomelizzanti, della scrittrice fiorentina. In periodo più recente ho dunque approfondito l’Islam mistico, dunque quello storico, e infine quello puramente teologico.
Prendiamo come riferimento, in questo articolo, l’Islam mistico, ossia il Sufismo. Quell’approccio alla religione del Profeta Muhammad che attraverso il rispetto dei precetti islamici, l’ascesi e la pulizia del proprio cuore (intensa come pulizia del proprio Ego), la pratica del dhikr (la rammemorazione dei nomi divini) e la ricerca della parte più spirituale che in ognuno di noi sussiste, tenta di trovare un vero contatto con Allah. L’Unico e l’Inviolabile.
Un aspetto che amo di questa religione è che non esiste un clero. Non ci sono preti né vescovi né cardinali, figuriamoci papi. Sì, ci sono gli Imam, che però dobbiamo prevalentemente considerare come degli studiosi di religione che semplicemente “indirizzano” il fedele verso la sua autonoma preghiera e devozione a Dio. E alcuni di questi, purtroppo, provenienti da luoghi dove l’Islam è vissuto in modo radicale (che non è sinonimo di ortodosso) danno al mondo un immagine della loro religione non solo sbagliata e irrealistica, ma anche dannosa. L’Islam è una religione di dialogo, di confronto e di rispetto. Non credete a chi afferma il contrario, sul fuoco incendiario della divisione religiosa. Lo insegna il Sufismo e lo insegna il Corano stesso quando afferma: «Nessuna costrizione nella religione».
Nell’Islam non ci sono separazioni o barriere imposte dall’alto: chi crede in questa fede – nel rispetto intimo della propria fede – lo fa attraverso una ricerca interiore e diretta con Allah. Non ci sono intermediari, non ci sono confessioni da fare al prete (uno dei traumi della mia infanzia), non ci sono messe domenicali (quanto piuttosto la preghiera del venerdì, giorno sacro per il popolo musulmano, da fare in moschea).
Veniamo poi a un momento in cui, per la prima volta, ho avuto modo di dire a me stesso: forse un giorno questa religione sarà anche la mia. O, perlomeno, il momento in cui questo pensiero è venuto per la prima volta in superficie.
Pochi mesi fa mi trovavo a Tangeri, in Marocco, sulle sponde del Mediterraneo, al confine fra Europa e Africa. Volli visitare questa città perché unisce e fonde due aspetti a me molti vicini e cari: la cultura, le tradizioni e lo stile di vita africano (in questo caso nord-africano) tanto quanto quello islamico. E sapendola una città moderata e abbastanza turistica, speravo di trovare un primo, positivo incontro, verso questi due valori.
E così fu. Soprattutto ebbi modo di “curiosare” all’interno della grande moschea a ridosso del porto, e ciò che vidi mi stupì, pur essendone già a conoscenza, e allo stesso tempo mi gratificò: l’interno, oltre alla moquette sul pavimento, sulla quale i fedeli si prostrano per pregare, sembrava null’altro che un magazzino in disuso. Nessuna decorazione, nessun eccesso e, ovviamente, nessun dipinto (poiché nell’Islam è vietata la riproduzione di immagini, quanto meno quelle a tema sacro, e di sicuro lo è nei luoghi di culto). Era semplicemente un grande stanzone spoglio dove, secondo la Umma musulmana, il contatto con Allah diviene per questo ancora più vicino. (La Umma è la comunità islamica in toto e deriva da Umm, ossia “madre”. Non è bellissimo?). Scrive Mario Boffo che «il senso dell’Islam primigenio» sta tutto qui: nella «semplicità», se non nell’«oblio del tutto al cospetto di Allah». E’ dunque giusto considerare la moschea un luogo di purezza, sincerità e devozione. Non di ostentazione.
Ovviamente, nel vasto mondo musulmano, troveremo anche moschee finemente decorate (ad esempio con eleganti e preziose calligrafie in arabo), specie nei paesi di tradizione ottomana, o in Persia (oggi Iran). Ma l’idea che la moschea debba essere, in principio e alla fine di tutto, un luogo di «abbandono» devoto, permane un po’ ovunque.

Gabriele Mandel, uno dei più importanti Sufi italiani, che fu anche amico e mentore di Franco Battiato, scrisse che il ruolo dei profeti biblici (Abramo, Mosè, Gesù…) è stato quello di «ammaestramento a rinforzo della missione di Maometto». Questi profeti del Vecchio e del Nuovo Testamento – rispettati nell’Islam e citati nello stesso Corano – non contraddicono il messaggio di Muhammad, quanto piuttosto lo rendono definitivo e ancor più esplicito. E’ per questo che il Profeta dell’Islam è ritenuto il «suggello» di tutti i messaggeri prima di lui venuti, derivanti dalla stessa linea profetica che ha origine da Adamo in poi, passando da Abramo e su fino alla Mecca del settimo secolo D.C.
Il Corano è un testo sacro che comprende molti aspetti argomentativi. Ci induce a riflettere sul senso della creazione, sul perdono e sulla misericordia di Dio (concetto ripetuto all’estremo), sulla scienza in relazione alla religione e al divino, sull’importanza della conoscenza e del rispetto fra i popoli. Ma anche del rifiutare la violenza gratuita (accettata solo a scopo difensivo); aspetto comunque trattato in minoranza rispetto alla totalità del Testo.
Nella Sura 3, versetto 7 del Corano «discesero» queste parole su Muhammad: «Egli [Allah] ha fatto scendere in te il Libro [il Corano]. Vi si trovano versetti rinforzati, che sono la prescrizione di base [ossia versetti chiari, il cui messaggio è limpido, che non necessita di interpretazione], e altri che possono dare adito al dubbio. Quelli che hanno la deviazione nel cuore e vogliono il dissenso vi cercano ciò che si presta al dubbio».
Non è forse questo una direzione chiara verso valori di pace e condivisione reciproca? Allah ci sta dicendo: studiate, approfondite, non fermatevi alle apparenze del testo, ma cercatene i significati più profondi, più autentici e più spirituali che vi sono stati rivelati. E infatti, sempre nel Corano, precisamente nella Sura 49, versetto 13 si dice: «Vi abbiamo ordinati in nazioni e tribù, affinché vi conosceste a vicenda». Il messaggio qui è chiaro: condividetevi, amatevi, conoscetevi appunto, e lasciate che le vostre religioni interagiscano le une con le altre, perché tutte sono una Mia testimonianza.
Il Corano, inoltre, è un Libro anche profondamente scientifico. Sono innumerevoli i versetti (circa un ottavo dell’intero Testo Sacro) che fanno riferimento al processo inesauribile della natura – dall’impollinazione delle api alla creazione dell’Universo, dal moto del Sole e della Luna attorno alla loro orbita fino alla nascita dell’Uomo così come viene intesa dalla scienza moderna (ossia un essere vivente che venne creato dall’acqua, e da lì, nel corso di diversi milioni di anni, si sviluppò in ciò che noi siamo ora). E’ importante sottolineare che questa religione fu rivelata millequattrocento anni fa, e alcune delle cose di cui narra le sappiamo e ne abbiamo conferma soltanto da pochi decenni. Una volta letto – e riletto – il Corano risulta essere, oltre che un Libro religioso, anche un Libro razionale, direi perfino logico. Ed è questa un’altra ragione che mi ha attirato e coinvolto verso questo immenso mondo di pace spirituale, che è in fondo ciò che professa l’Islam autentico e maggiormente diffuso.
Pensiamo inoltre all’ormai molto diffuso, anche in Occidente, “saluto di pace” della comunità musulmana: il Salam Aleikum. Un saluto che vuole essere più di un “Ciao”, più di una stretta di mano, quanto piuttosto un abbraccio simpatetico verso qualcuno che è un nostro compagno in questo breve tragitto che è la vita.
La parola “Islam” infatti – il cui significato molti traducono con “Sottomissione a Dio”, quasi come a voler intendere una sorta di totale e sconsiderata esaltazione del fedele verso Allah – ebbene, essa contiene anche la parola “Salam”, che appunto significa pace. Quindi l’Islam non è semplicisticamente una sottomissione a Dio, quanto piuttosto una sottomissione al valore universale della pace, e quindi alla benevolenza di Allah. Più nello specifico si ritiene che “Islam” possa tradursi non tanto in “sottomissione” quanto in “abbandono”. L’abbandono fiducioso a Dio. Al Suo decreto, alla Sua bontà, alla Sua immensa gloria, che tutto ha creato, e tutto continua a ricreare in ogni istante.
Tutto ciò dovrebbe bastare per indirizzare in modo giusto la consapevolezza di chi vuole conoscere l’Islam ma non sa da dove partire. Stiamo parlando di una religione che non rinnega nulla, ma piuttosto certifica e conferma il messaggio divino antecedente alla sua rivelazione.
Non ascoltate certi arrabbiati politici in televisione: il Corano è un Testo Sacro che è molto più misericordioso e umanamente conciliante di quanto possa, invece, essere (o apparire, a una lettura veloce e superficiale) violento. Non bisogna mai estrapolare alcun versetto dal suo contesto; bisogna sempre pensarlo come una rivelazione discesa su un popolo vissuto millequattrocento anni fa – con tradizioni, culture e pensieri completamente diversi dai nostri -; e bisogna, innanzitutto, riferirsi al Corano come a un testo poetico con il fine ultimo di un innalzamento spirituale – e quindi anche umano – di chi ne segue la sua retta, e autentica, via.
Martedì 20 agosto 2024,
Ore 16.50


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