Africa

La lotta per la sussistenza e la fatica della dignità. Uno scritto sull’Africa

E’ un discorso nel quale ci fa comodo non entrare, dall’alto del benessere che noi osiamo ostentare qui in Occidente. E’ il concetto che ho espresso nel mio ultimo, piccolo libro, Persone felici, nel quale racconto principalmente della mia esperienza come genitore a distanza di un bambino Maasai. Mi riferivo al fatto che, in quanto europei e tutto sommato benestanti (se con ciò facciamo riferimento al fatto che abbiamo un solido tetto sulla testa, cibo a ogni ora, una macchina per andare in giro, etc…) non vogliamo, né sentiamo il dovere, di preoccuparci per chi non solo soffre la povertà, ma al quale viene a mancare anche la dignità di tre pasti completi al giorno, che noi diamo più che per scontati. Di chi, per sopravvivere, deve pregare e benedire il cielo se dal cielo scende un po’ di pioggia, un po’ d’acqua, ossia la salvezza per la loro sussistenza quotidiana.

Il mio pamphlet “Persone felici” nel quale racconto della mia esperienza come genitore a distanza e del mio incontro con le popolazioni Maasai.

Recentemente mi è stato detto che la famiglia del bambino che ho adottato a distanza cerca di «andare avanti giorno per giorno, con fatica ma col sorriso». Pochi giorni dopo ho ricevuto una letterina nella quale il “mio” bimbo mi dice che «spera che le cose vadano bene» in quanto c’è molta siccità in Kenya.

Un bambino di circa dieci anni che non si preoccupa esclusivamente di giocare, di imparare, di leggere un libro di storie, di impegnarsi a scuola (alla quale si sta dedicando con molto impegno) ma si preoccupa perfino di questioni che a un bambino non dovrebbero spettare e, se questo mondo fosse giusto – quale non è – non dovrebbero spettare neanche agli adulti. In quanto la dignità è, innanzitutto, la dignità di avere da mangiare, sempre e comunque, indipendentemente da dove si nasce, in quale contesto si vive, quanto, o quanto poca, sia la nostra povertà o ricchezza.

Leggendo le parole del bambino che ho adottato a distanza il mio cuore un po’ ha ceduto. Perché mi sono reso conto che, nonostante l’importanza dell’adozione, che gli garantisce un percorso di studio, un pasto giornaliero, dell’acqua e cure mediche se ne ha bisogno, la sua vita, quella dei suoi fratelli, e ancor di più quella dei suoi genitori, sarà e rimarrà una vita di sussistenza e di lotta. Inutile illudersi altrimenti. Mi sono reso conto che il mio aiuto è importante, forse fondamentale, ma che è soltanto una goccia in un mare di dolore, sofferenza e sfide quotidiane per avere un po’ di riso o porridge nel piatto la sera. In quel momento mi sono sentito impotente.

E’ difficile rendersene conto se non si vive questa situazione direttamente e sulla propria pelle. Siamo talmente abituati a pensare che la vita sia per tutti e per ognuno in questo mondo, esattamente così, semplice e schematica: svegliarci al mattino, colazione, e poi lavoro, e poi pranzo, e poi lavoro, e poi spesa, e poi cena, e poi film prima di andare a letto. Invece c’è un bambino in Kenya che, quando è a casa da scuola, aiuta i suoi genitori nelle pulizie di casa, o porta al pascolo il bestiame camminando per chilometri nella savana (sperando che gli animali abbiano da abbeverarsi, perché se no il bestiame muore, e senza bestiame i Maasai perdono la loro principale fonte di sussistenza economica).

Noi a tutto questo non ci pensiamo. E forse è anche giusto così. Ognuno è concentrato sulle proprie sfide, le proprie lotte, i propri sogni, la propria intima quotidianità. Ma se ci fermassimo un attimo, rendendoci conto dell’immensa ricchezza che possediamo, e che diamo per scontata in quanto abituati ad averla ormai da decenni di “progresso”, ci renderemmo conto che, nel mondo, ci sono miliardi (miliardi, non milioni!) di persone che vanno a letto la sera con lo stomaco che brontola e chiedendosi se domani, al risveglio, avranno acqua pulita da bere.

Ho letto recentemente il commento di una persona che ha affermato quanto segue: «Noi [l’Occidente], a differenza di altri, abbiamo sbagliato ma sappiamo fare mea culpa». Niente affatto. Niente affatto. Non ho mai sentito l’Occidente scusarsi – sinceramente e umanamente – per i crimini coloniali (ha detto il Premio Nobel Wole Soyinka che, una forma di scuse richiederebbe anche un, non indifferente, risarcimento economico ai popoli africani). Non ho mai sentito nemmeno l’Occidente sentirsi in colpa per una ricchezza che, inevitabilmente, va a discapito dell’immensa povertà di taluni altri.

Nessuno di noi, oramai, si ferma un solo secondo a pensare che quel bicchiere di latte al mattino, quell’acqua abbondante e sprecata dal rubinetto, quel cibo di qualità e variegato che cuciniamo, sprechiamo e buttiamo perché del giorno precedente, sono frutto di una ricchezza – alla quale non dobbiamo rinunciare, e nessuno ce lo chiede – ma verso la quale, forse, dovremmo provare maggior gratitudine, maggior rispetto, maggiore umiltà. In quanto ogni singolo benessere dell’uomo deriva dal sacrificio, se non dal dolore e dalla fatica, di un altro essere umano, che dovrebbe, ma non sempre è, possessore e testimone della dignità umana.

E come già ho detto in questo articolo: vorrei poter fare di più. Mi fa soffrire sapermi così lontano da questo bambino. Mi fa soffrire saperlo più adulto di quanto meriterebbe alla sua età. Lo vorrei abbracciare, stringere forte, accudirlo, proteggerlo, dirgli (a voce) che tutto andrà (davvero) bene perché tutti (io, la sua famiglia, la sua comunità, l’associazione con cui l’ho adottato a distanza) ci preoccupiamo ogni giorno per lui e la sua tutela. Ma so anche che è un bambino intelligente, che si impegna molto a scuola, «ricettivo» nei confronti degli insegnamenti ricevuti.

E allora mi faccio coraggio. Lo stesso coraggio che gli infondo in ogni letterina e che lui, a sua volta, infonde in me. Mi piace pensare questo: nell’immensa (e alcune volte sconfortante) diversità delle nostre vite, non solo ci vogliamo bene, ma ci proteggiamo e ci sosteniamo a vicenda. Io ci sarò sempre per lui, e so che lui aspetta con trepidazione e gioia ogni mia foto, ogni mia parola, ogni mio consiglio o suggerimento. E questo vale più di qualunque altra cosa.

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Foto di 2Photo Pots su Unsplash

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