Tre brevi lettere sulla vita a mio figlio
No: non sono padre. Probabilmente non lo sarò mai, in quanto una delle mie due malattie comporta un altissimo tasso di infertilità. Inoltre, come mi disse un amico tempo fa: “Se cerchi la libertà nella vita, non avere mai figli.” E in effetti per me essere un uomo libero – di viaggiare, di esplorare, di conoscere, di sperimentare, di dedicare, più semplicemente, tempo a me stesso – è la base fondamentale della mia esistenza. Ma ciò non toglie che per molti anni abbia desiderato (o quanto meno immaginato) quanto bello, avvolgente e totalizzante sia l’essere un padre. E così ho incominciato a scrivere delle poesie, dei brevi aforismi e delle brevi lettere a quel figlio che non vive realmente, ma che certo, in qualche modo, batte nelle profondità del mio cuore.
Di seguito condivido con voi tre brevissime lettere che ho scelto di dedicare al figlio della mia anima, in cui gli parlo di cosa sia per me la vita e, in qualche modo, gli do perfino dei consigli a tal proposito. Consigli che, se vogliamo, sto allo stesso tempo dando a me stesso. Perché mi piace pensare che, quando parliamo a un figlio, stiamo innanzitutto parlando e dialogando con la nostra più intima sensibilità.
E io, figlio che per trentadue anni della propria vita, non ha mai sentito di avere al proprio fianco un padre, dedico questi brevi testi a me stesso. All’insegnamento che do a me stesso, perché non è mai troppo tardi per imparare a vivere meglio.
NOTA AL TESTO: la prima lettera è ispirata dal bambino Maasai del Kenya che sostengo con un’adozione a distanza.
1) “Tu sei figlio dell’Africa. Ricorda: studiare è il modo migliore per legittimarti di fronte alla brutalità del mondo. Io ti proteggerò se bisogno di protezione tu avrai. Io ti ammirerò quandunque il fiore del sapere cogliere tu saprai. Tu sei figlio dell’Africa: dovrai correre più di altri, ma imparerai a portare alto il capo, e ad allungare la mano che altri ritrarranno. Tu sei figlio dell’Africa: sei il sole e anche l’acacia, la nube che porta pioggia e poi il più denso splendore.”
2) “Se potrai viaggiare, figlio mio, fallo senza dubitare. In principio, mentre sarai nel mondo, poniti tante domande, ma non preoccuparti delle risposte. Quelle verranno da sé. Fai in modo di aprire nuove vie, nuovi sentieri di conoscenza. Nel dubbio è la radice della scoperta. Non essere mai troppo soddisfatto di te. Non essere come un bicchiere troppo colmo che non si riesce a prendere in mano. Fai attenzione ai volti, sorridi ai sorrisi, stringi mani come se tu stessi firmando un contratto di fiducia fra te e l’altra persona. Ma soprattutto: fidati di questo mondo, che lontano dal clamore, sa ancora essere buono e colmo d’amore.”
3) “Figlio mio, osserva il mondo con splendore. Prendi la tavolozza e coloralo dei migliori colori dell’iride tua, della bellezza che in te rifulge. Mi chiedi come? Lo vedi quel bambino di un altro colore davanti a te? La vedi quella donna ingobbita sul bastone? Lo vedi quell’uomo senza denti che chiede debolmente – «una moneta, monsieur»? Immagina la loro storia – lo so, è il compito più difficile per un essere umano. L’hai immaginata? Bene. Fa paura, vero? E allora prendi la tavolozza e colora il mondo anche dei loro colori. Perché in un’altra vita, in un altro mondo, tu sei stato loro, e loro hanno avuto la fortuna di essere te.”
Foto di Michela Serventi su Unsplash