Racconto: “Nelle fauci dei lupi”
Tommaso aveva ventotto anni e faceva lo scrittore. Da circa due anni aveva dedicato una parte del suo tempo a creare una narrativa letteraria sul suo paese natale, con libri, articoli, interviste e documenti che, sperava, sarebbero diventati d’archivio, da poter visionare per ricordarsi sempre della storia del luogo in cui era cresciuto.
Il mese scorso, per la prima volta dopo due anni, ha espresso sulla sua pagina Facebook – la stessa che usava per pubblicizzare e promuovere il suo lavoro – un’opinione critica nei confronti di un problema che affligge il paese. Un’opinione scritta con l’intelligenza di una persona di cultura, con la precisione di chi conosce l’importanza di ogni singola parola. Un’opinione diretta e forte, certo, ma non offensiva e sempre motivata. Sapeva che avrebbe attirato su di sé critiche per ciò, ma sentiva che il compito di uno scrittore non è essere amico, ma narratore delle cose belle così come quelle brutte della vita.
Il suo paese ha sempre avuto un problema, riconosciuto da chiunque abbia provato a fare qualcosa in più, di diverso per la sua popolazione: l’omertà. Troppi silenzi. Troppo desiderio di non mordere la coda al cane che dorme. Tommaso sperava che la sua scrittura avesse la forza di scardinare ciò. Tommaso era un idealista.
Dopo che Tommaso espresse la sua opinione, anche sul gruppo Facebook dedicato al suo paese, molte persone del posto – le stesse che erano rimaste in silenzio ogni qual volta lui raccontava della bellezza e dei pregi del luogo in cui abitano – si sono schierate contro di lui, facendosi forza a vicenda. Lo hanno schernito da un punto di vista umano; lo hanno calunniato, sminuito e avvilito come scrittore. L’hanno fatto sentire impotente. Gli hanno soffocato la voce facendosi forza della voce collettiva.
Tommaso decise di non rispondere. Aveva espresso la sua idea. L’aveva motivata. Aveva svolto il suo lavoro. Un lavoro che spesso lo faceva stare male, ma che in fondo amava davvero. Se loro volevano attaccarlo senza prendersi nemmeno la briga di conoscere il suo lavoro, era una loro scelta. Lui era in pace con se stesso.
Ma le ore passavano e i commenti aumentavano. Le cattiverie, le battute, la derisione verso i sacrifici, il sudore della fronte, il dolore dell’anima. E ad ogni commento Tommaso soffriva in silenzio. Ma il silenzio non significa che non si abbia nulla da dire.
“E pure ti definisci scrittore… che pena”, gli scrisse una persona in uno dei tanti commenti. “Non rispondi nemmeno perché hai paura del confronto. Sei un vigliacco.”
Quando Tommaso lesse quei commenti si sentì vergognare. Era solo, nella sua camera da letto. Nessuno lo poteva vedere. Nessuno era a conoscenza del suo stato d’animo, ma lui si sentiva nudo, in piazza, violentato fisicamente da un branco di lupi.
Tommaso si era permesso di dire la verità. Aveva osato sfidare l’omertà. Tommaso aveva avuto l’innocenza di pensare che l’idealismo potesse combattere il silenzio.
Tommaso aprì di nuovo Facebook, rimase con lo sguardo fisso e vitreo sulla pagina principale del social network. Due minuti dopo pubblicò gli screenshot di tutti quei commenti, quelle violenze mentali che ferivano come una frusta sulla schiena insanguinata. Poi scrisse: “E’ così che ci si sente ad essere nelle fauci dei lupi.”
Chiuse Facebook e mise fine alla sua vita.
Io conoscevo Tommaso. Ero una sua amica. Rimpiango sempre di non avergli scritto in quei minuti in cui prese quella decisione. Se avesse visto un mio messaggio, l’avrebbe fatto comunque?
Ogni giorno, da un mese a questa parte, cammino per il nostro paese con lo sguardo pieno di vergogna. Se questa è la società in cui vivo, vorrei non esistere.
Quando venne assassinato John F. Kennedy dissero che l’America perse la sua innocenza. Oggi non siamo di certo innocenti. Ma la cosa peggiore è che non desideriamo nemmeno più esserlo. L’innocenza è l’insieme collettivo di tanti gesti di purezza. Quello che ha ucciso Tommaso, invece, è stato un collettivo di lupi che ha sbranato un agnello, spinti dalla forma più arrogante del coraggio: l’essere forti, dimenticandosi dell’essere giusti.
Nota dell’autore: questo è un lavoro di narrativa, dunque di fantasia, ma è stato liberamente ispirato da eventi successi nel mio paese natale. Lo scopo di questo racconto è di sensibilizzare le persone sull’importanza delle parole che, come nel caso del protagonista di questo racconto, possono uccidere, soprattutto quando le esprimiamo con superficialità o leggerezza e non diamo loro il giusto peso.